Notizie Radicali
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  giovedì 25 maggio 2006
 Direttore: Gualtiero Vecellio
Il Codice e le meschinità dei detrattori

di Francesco Pullia

Ci si può e deve chiedere come mai la Chiesa reagisca in maniera così isterica alla proiezione nelle sale cinematografiche de “Il Codice da Vinci” e voglia a tutti i costi convincerci che il film e il romanzo sarebbero brutti, scritti male e “offensivi” della morale cattolica.

In realtà, di offensivo nel libro di Dan Brown, che ha cercato di fare una sintesi di diversi elementi contenuti nei vangeli giudicati unilateralmente e con arrogante imperiosità apocrifi dal Concilio di Nicea, non c’è proprio nulla.

Lo scrittore ha saputo confezionare una miscela adatta al mercato editoriale, intercettando una sensibilità, presente nella contemporaneità, per il legame tra esoterismo e religiosità.

Ed è stato bravo perché è riuscito nei suoi intenti senza pontificare e senza ammantarsi di quell’intellettualismo stucchevole che, ad esempio, si ritrova nei libri di Eco. Non è casuale che l’autore del “Nome della rosa”, consacrato e idolatrato dalla sinistra ufficiale, abbia avuto nei confronti di Brown un atteggiamento saccente e borioso. Pontifex Eco, d’altronde, non è nuovo ad assumere comportamenti arroganti. Basti pensare a come trattò impietosamente Elemire Zolla, figura più unica che rara di cui ogni giorno che passa si avverte l’assenza.

Ma restiamo in tema. Il vescovo di Todi e Orvieto, mons. Giovanni Scanavino, proprietario dell’unica sala cinematografica esistente a Todi ha proibito la programmazione del “Codice” nella cittadina di Jacopone, dichiarando esplicitamente che l’opera non merita di essere vista e, quindi, sottoposta al libero giudizio degli abitanti del posto perché, a suo dire, “blasfema”. Monsieur Bernard- Henri Lévy, da parte sua, sbandiera un suo presunto agnocisticismo per potere, secondo lui, attaccare meglio l’opera di Dan Brown, tessere un panegirico a favore della Chiesa e baldanzosamente esprimere il proprio “disgusto” per “la marea nera del nuovo anticattolicesimo”. Ohibò.

Ma, ci si domanda, cosa teme questa comunella da un semplice, anche se intrigante, testo letterario? Forse ha paura che emerga la verità sulla trasformazione della Chiesa in violentissimo potere temporale per colpa degli imperatori Costantino e Giustiniano? Oppure che, tra il serio e il faceto, si finisca per fare luce sulle innumerevoli contraddizioni contenute nei vangeli artatamente imposti come canonici?

Siamo sicuri che la figura storica di Cristo corrisponda realmente a quella accreditata dalla Chiesa? Cosa si sa, ad esempio, di Gesù nel periodo tra i quattordici e i ventinove anni? Perché si è sempre taciuto sui suoi rapporti con la comunità essenica? Sono davvero tutte fandonie le tesi di Andreas Faber Kaiser e, ancora prima, di Nicolas Notovitch e Nicholas Roerich che, basandosi tra l’altro su scritti esoterici rinvenuti nel monastero buddhista di Hemis, in Ladakh, sostengono che Gesù sia stato sì crocifisso ma non sia morto sulla croce e si sia recato in India dove ancora oggi a Srinagar, in Kashmir, è visitabile la sua tomba?

Chi voglia approfondire questi temi non ha che da leggere una nutrita bibliografia naturalmente al di fuori di quella ufficialmente accettata dalla Chiesa.

Fida M. Hassnain, direttore del museo delle antichità di Jammu e Kashmir, ha cercato di riassumere queste ricerche esoteriche nel libro “Sulle tracce di Gesù l’esseno, le fonti storiche buddiste, islamiche, sanscrite e apocrife”, pubblicato, in traduzione italiana, dalla casa editrice Amrita nel 1997.

Otto anni fa, ispirandosi proprio a questi studi nonché ai rotoli rinvenuti casualmente a Nag Hammadi, il regista Alessandro D’Alatri girò un bel film, intitolato “I giardini dell’Eden”, tiepidamente accolto dalla critica addomesticata e servile.

Io stesso, e lo dico solo per corretta informazione e senza fini commerciali dal momento che il libro è esaurito, ne ho parlato nel mio romanzo, ambientato in India, “Nei reami del falco” (Ed. Il Torchio – La Bottega delle meraviglie, 1998).

E, ancora, perché non si è messa la sordina  sul vangelo di Tommaso e sul ruolo, profondamente differente da quello di Pietro e di Paolo, svolto dall’apostolo nelle prime comunità cristiane dell’Africa orientale e in India? 

Molto ci sarebbe da scrivere solo per ribadire che, nel pieno rispetto di ogni convinzione, gli scritti radiati, perché scomodi, dai vertici vaticani rendono ancora più affascinante la figura del Cristo, collocandola in una dimensione gnostica, iniziatica, spirituale, affrancatrice radicalmente avulsa dalla compromissione temporale e materialistica di cui l’istituzione ecclesiastica è la massima detentrice.

Diciamoci la verità, a preoccupare la Chiesa e la costellazione di cortigiani che le sta attorno non è tanto il “Codice” di Dan Brown quanto la possibilità che, a poco a poco, possa prevalere un’altra immagine di Cristo, storico e mistico al tempo stesso ma, soprattutto, fustigatore dei tanti mercanti che, purtroppo, si sono presi la loro rivincita su di lui occupandone indebitamente la dimora, il tempio.